In bilico fra terra e mare: ricchezza e fragilità della duna di Lacona

Era l’estate del 2012, la mia prima estate elbana. A pochi giorni dal mio arrivo sull’isola mi avventuro, senza troppe precognizioni, alla spiaggia di Lacona. Finiva agosto, e la grande folla dell’estate si stava già diradando. Ignoravo tutto della spiaggia che avevo scelto: soltanto, sapevo che era in sabbia, e quindi adatta ai giochi della mia bambina…

Parcheggiata la macchina sotto una macchia d’alberi ho mosso i primi passi verso il mare: l’odore della pineta era balsamico, intenso… la sua ombra una fresca carezza. Fra questi ricordi incancellabili ne spicca, però, uno: quello del giglio candido che vidi fare capolino dalla sabbia. Non avevo letto nulla in proposito, non avevo idea di essere in presenza di una delle emergenze naturalistiche dell’isola in cui ero appena andata ad abitare. E mi parve impossibile che da quella rena riarsa dal mare e dal sole potesse spuntare un fiore tanto speciale.A distanza di tre anni ho ripercorso quell’itinerario, questa volta più consapevole, con un’escursione del Walking Festival, in compagnia di un nutrito gruppo. Grazie alla competenza della brava guida Franca Stampacchia di Cooperativa Pelagos la duna mi ha svelato tutti i segreti del suo fascino.

Quella che, sulla spiaggia di Lacona, è una presenza discreta, un morbido cuscino di vegetazione che avvertiamo alle nostre spalle, mentre guardiamo il mare, è in realtà un complesso ecosistema, modellato dall’azione congiunta delle forze naturali in un paziente e annoso lavoro. La duna si accumula piano piano grazie all’azione del vento: ogni singolo granello di sabbia, sospinto dal vento, compie un vero e proprio balzo, che tecnicamente si chiama proprio “saltazione”.

Questo primo accumulo avrebbe tuttavia vita breve, verrebbe presto spazzato dalla forza delle mareggiate o da venti più forti se non intervenissero le prime piante a fornire un’armatura alla delicata struttura sabbiosa. Queste piante, che portano il suggestivo nome di pioniere, hanno due caratteristiche fondamentali: sono piante alofite, che si insediano facilmente su terreni ricchi di sale e hanno radici molto lunghe, che scavano profondamente nel terreno e raggiungono la falda acquifera sottostante.

A queste prime piante se ne aggiungono via via altre: la salsola, la ruchetta di mare, la gramigna marina, la carota di mare, la camomilla di mare e, ovviamente, sua maestà il giglio.

Ma la duna di Lacona non è soltanto uno straordinario scrigno di biodiversità sia vegetale sia animale – vi scorazzano liete, fra gli altri insetti, alcune varietà di coleotteri – non ha cioè soltanto un valore in se stessa, come straordinario habitat di creature viventi. La duna ha un’importante funzione di protezione del territorio che sta alle sue spalle: la piccola escrescenza sabbiosa, anche se alta solo pochi metri – siamo lontani dalla maestosità delle dune atlantiche, piccole colline formate da venti ben più impetuosi – fornisce un baluardo a tante specie vegetali e animali che trovano il loro ecosistema ideale al riparo di essa.

La natura è funzionale a se stessa, vien fatto di pensare, mentre Franca ci indica le piante nate sulla duna, e compie anche il miracolo di farci immaginare i fiori meravigliosi che producono e che adesso, in autunno, non ci sono, mentre in primavera la punteggiano di colori e profumi.

La visita si conclude con una sorpresa: su un tratto del cordone dunale sopravvive un giglio bianco, estremo dono della stagione ormai avanzata. Sfioriti, intorno, ce ne sono moltissimi altri – ne sono state censite circa 300 piantine – risorti dalla sabbia grazie al paziente impegno dei volontari di Legambiente che, sotto il patrocinio delle istituzioni, si sono dedicati, durante l’estate, alla tutela di questo delicato territorio.

La guida ci fa osservare che dai bulbi ormai sfioriti dei gigli fuoriescono piccoli semi nerissimi: chi va in spiaggia a Lacona ne può trovare tanti fra la sabbia, e pensare magari che si tratti del residuo di qualche incauto falò, vista la loro somiglianza con piccoli pezzi di carbone. Sono invece i semi del giglio di mare, che tra poco verranno depositati nella sabbia dalla pianta, e che rappresentano la promessa di tanti candidi gigli nella prossima stagione estiva.

L’escursione volge al termine e sulla spiaggia si stende una sera viola, mentre sull’orizzonte si staglia la sagoma scura di Montecristo. Mi invade la delicatezza di questo paesaggio, e saluto la duna, il suo gioco da equilibrista: il suo destino sospeso. Fra la terra, il mare, e il rispetto dell’uomo.

Emma Borasi. Social Media Manager Turismo Sostenibile

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