Portoferraio, riapre Forte Inglese

Una abbacinante mattina elbana di fine luglio. Sto per sedermi al mio tavolo, in ufficio, e Marino mi dice: “fatti trovare qui sotto fra 5 minuti, andiamo a Forte Inglese”. Lui è così, una persona che sa fare sorprese e interpretare la profondità dei desideri: e così andiamo, per un sopralluogo necessario a progettare un evento, ma anche per rispondere all’esigenza di raccontare un territorio che abbiamo vissuto… 

Un cancello rugginoso delimita l’ingresso al paradiso. Fra le stoppie del piazzale si intravedono agavi, oleandri e campeggia un gigantesco pino marittimo; contrasti, questi, così tipici dell’Elba, fra una natura addomesticata, ingentilita dalla fatica dell’uomo, e una dirompente, selvaggia, che padroneggia e spazza, che impone la sua forza.La guida è la migliore che potevamo avere, l’architetto che ha seguito la realizzazione del progetto di recupero e restauro. Si tratta della Dott.ssa Coltelli, ci presentiamo ad occhi socchiusi, per ripararci dalla violenza della luce, e la stretta delicata della sua mano non mi lascia intuire l’intensità di questo incontro. Ci apre il portone, cercando fra mille chiavi, come titubando sulla soluzione di un rebus, che, poi lo capiremo, è storico, funzionale, amministrativo. Ci apre il portone come se ci facesse entrare in una dimora conosciuta, in una casa avita, disabitata da troppo tempo.

La frescura offerta dai muri centenari è la prima carezza che ci fa Forte Inglese. Poi ci accolgono i bianchi corridoi, i pavimenti pazientemente recuperati o ricostruiti, le sale ora grandi ora piccole che costituiscono l’interno della struttura.

Il Forte si articola su più piani, in più ambienti, suggerendo la multiformità di un edificio che è stato ora fortezza, ora carcere, che ha ospitato truppe e ufficiali, che ha retto all’urto dei secoli: in una saletta è ricavato un bar, piccolo e lindo, al piano inferiore ci sono ambienti ancora bruniti dal fumo dei cannoni. Ci sono piazzali esterni e terrazze, chiudo gli occhi e immagino le manovre dei soldati, il boato delle armi. E ci sono cortili interni, con i muri anneriti da una storia più recente – quella delle acciaierie di Portoferraio – il cui colore è stato lasciato intatto dalla sensibilità di chi ha curato il progetto, e non ha voluto cancellare, in nome di un falso decoro, i segni della storia.

L’architetto ci guida fra i vari piani, fra le varie stanze, sfogliando i secoli come libri, raccontandoci delle fuciliere riaperte, dei pavimenti rimpastati con le pietre originali, dei resti di affresco difesi e riportati alla luce, delle porte d’epoca reintegrate e salvate dalla rimozione. Questa donna dai toni sommessi ci illustra la storia, la fa riemergere dai muri e dalle stanze, e, soprattutto, ci fa comprendere lo spirito che ha animato questo progetto di recupero: quello di un restauro fedele di ciò che c’era, che ha voluto però creare apparati che rendano fruibile il Forte inglese. Ecco quindi che, accanto ad un graffito murario, tracciato forse dalla mano di un prigioniero, troviamo l’attacco per una piccola lavastoviglie, necessaria magari ad un’iniziativa che preveda un catering; nel piazzale, accanto alla fontana che fornisce acqua, direttamente dalle cisterne ripulite, sono disponibili gli attacchi elettrici per un concerto all’aperto, opportunamente celati da un chiusino.

Presto Forte Inglese sarà teatro di un evento, voluto dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano: verranno esposte le tavole originali ad acquerello realizzate per i taccuini dell’Arcipelago Toscano, edizioni EDT, e avranno luogo dei workshop di pittura dal vero rivolti ad adulti e bambini.

Mentre richiudiamo porte e cancelli ci interroghiamo sulla fruizione futura di questo forte, insieme cerchiamo di immaginare come poter far conoscere e vivere, al pubblico, tutta questa ricchezza. E l’architetto ricorda la ristrutturazione di un altro forte, nel passato, e ci dice, senza mezzi termini: “se non fosse stato per Marino Garfagnoli anche il forte Falcone sarebbe rimasto chiuso e inutilizzato”.

Ce ne andiamo via arricchite, colme di nuovi stimoli. E, senza false modestie, piene di orgoglio per essere collaboratrici di Marino. Ringraziamo l’architetto, per il suo lavoro e per il tono modesto e sommesso con cui ce l’ha illustrato: con la consapevolezza che, spesso, sono persone piccole a fare grandi cose.

Emma Borasi. Social Media Manager Turismo Sostenibile

 
 
 

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